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Cenni Storici

testi a cura di Pietro Pierrettori

Nel luglio 1858 Cavour incontra segretamente Napoleone III° a Plombières. Secondo gli accordi stipulati, la Francia aiuterà il Piemonte in caso di un attacco austriaco e, a guerra vinta, l’Italia dovrà essere divisa in tre regni, organizzati in una confederazione sotto lo presidenza onoraria del Papa. La cessione di Nizza e della Savoia sarà il prezzo territoriale dell’aiuto francese. Il l0 dicembre Francia e Piemonte stringono un formale trattato di alleanza. II 10 gennaio 1859 Vittorio Emanuele Il°, nel discorso di apertura del Parlamento, il cui testo viene concordato tra Cavour e Napoleone III°, afferma: “..Non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi…”. Gli echi sono immensi in tutta la penisola: i Lombardi manifestano il loro entusiasmo, mentre i volontari passano il Ticino per unirsi ai Piemontesi. II 23 aprile l’Austria invia un ultimatum al Piemonte intimandone il disarmo entro tre giorni. E’ l’occasione pazientemente attesa da Cavour per iniziare lo guerra. Scaduto il tempo previsto, gli Austriaci invadono il Piemonte con l’intenzione di sconfiggere l’esercito sardo prima dell’arrivo dell’alleato. I Piemontesi ostacolano l’avanzata del maresciallo Ferencz Gyulaj allagando le risaie della Lomellina e del Vercellese; i Francesi, attraverso il Moncenisio e da Genova raggiungono rapidamente il campo di battaglia. II 20 maggio gli Austriaci sono battuti a Montebello. Mentre Gyulaj attende con il grosso delle truppe il passaggio del nemico intorno a Piacenza, Napoleone III° lo trae in inganno passando il Po a Casale e spostando velocemente, per mezzo della ferrovia, l’armata francese dalla zona di Alessandria a quella di Novara per puntare verso Milano. Il piano dei franco-piemontesi consiste nel convergere su Magenta in due direttrici: da Turbigo e dal ponte sul Ticino sulla strada tra Milano e Novara. Lo sforzo maggiore è sostenuto dai francesi, mentre l’esercito piemontese ha il compito di seguire le truppe che muoveranno da Turbigo e di intervenire in caso di necessità. Solo dopo le sconfitte subite il 30 e 31 maggio a Vinzaglio e a Palestro il comando austroungarico si accorge del tranello e ordina che il grosso dell’esercito sia spostato dalla Lomellina a Magenta, attraverso Vigevano e Abbiategrasso; la difesa è disposta lungo il Naviglio, confidando di fare saltare i ponti di Robecco, Pontevecchio, Pontenuovo e Boffalora. Gli imperiali retrocedono stabilendo una linea difensiva tra Naviglio Grande e Ticino facendo saltare il grande ponte napoleonico, tra Magenta e Trecate. Ma il ponte sul Ticino, che i Francesi chiamavano di San Martino o di Boffalora, risulta danneggiato solo in parte. Si pensa a qualche difetto nelle cariche, successivamente si scopre che è stato un vero e proprio atto di sabotaggio. La ditta Badoni di Lecco aveva ricevuto l’ordine, dal comando austriaco, di minare il ponte sotto la direzione dell’ingegnere milanese Marcello Rougier. Questi, con spirito patriottico, rallenta le operazioni di perforazione per inserire l’esplosivo nelle arcate e colloca le cariche in punti non vitali. Gli Austriaci per l’incalzare della battaglia sono costretti a dar fuoco alle micce in fretta e furia. Rimangono sconcertati quando, dalle linee di Pontenuovo, dopo l’esplosione, si accorgono che le prime due arcate del ponte sulla sponda lombarda sono ricadute su loro stesse permettendo ugualmente il passagio delle truppe francesi. La notte tra il 2 ed il 3 giugno il genio francese, protetto dalla artiglieria, getta, di fronte a Turbigo, un ponte di barche di 180 metri. Inizia il passaggio del 2° Corpo d’Armata al comando del gen. Patrice Edme de Mac Mahon che sostiene i primi scontri a Turbigo e Robecchetto. La mattina del 4 Mac Mahon divide le sue truppe in due colonne dirigendo la 2° Div. del gen. Espinasse verso Marcallo e la 1° Div: di De La Motterouge verso Boffalora. Intanto le truppe austriache tardano ad arrivare dalla Lomellina, e a difendere la linea del Naviglio restano solo i 20-25.000 uomini del generale Clam-Gallas, che dispone le sue truppe a triangolo, con i vertici a Magenta, Boffalora e Marcallo. Non appena ode il cannone tuonare Napoleone IIl°, dal suo osservatorio nella torre di S.Martino al Basto, sulla sponda piemontese del Ticino, convinto che l’attacco di Mac Mahon sia in atto, ordina alle truppe in attesa di muoversi verso i ponti sul Naviglio Grande di Boffalora, Ponte Vecchio e Ponte Nuovo. Gli austriaci fanno saltare i primi due; l’innesco che avrebbe fatto esplodere le cariche per distruggere il ponte della Dogana non funziona. Questo, con il ponte della ferrovia, qualche centinaia di metri più a valle, rimangono gli unici passaggi per raggiungere la sponda sinistra del canale. Ma Mac Mahon è fermo in attesa di coordinare i movimenti delle sue colonne ed il 3° Corpo d’Armata francese tarda a giungere, da Novara, sul campo di battaglia. Con il suo stato maggiore cavalca alla sua ala sinistra dove dovrebbero trovarsi Camou ed Espinasse. Attraversa i campi verso Mesero e senza accorgersi attraversa anche alcuni avamposti imperiali che rimangono immobilizzati dalla sorpresa che si ripete quando il gruppo, dopo aver preso accordi per l’avanzata su Marcallo e Magenta, ritorna per riprendere l’attacco su Boffalora. Comincia, intanto, ad arrivare da Abbiategrasso il grosso delle truppe austriache il cui ingresso in linea rende la situazione critica per i Francesi a tal punto che a Vienna viene inviato un telegramma che annuncia una schiacciante vittoria. La battaglia si fa concitata attorno a Pontenuovo; ripetuti attacchi e ritirate francesi lasciano sul campo un gran numero di caduti. Per sette volte conquistano e perdono il ponte. Vengono chiesti rinforzi all’Imperatore, ma la risposta è negativa. Non gli rimane che la Guardia. Negli scontri cade il gen. Clèr e nella confusione il suo corpo rimane in mano nemica; sarà recuperato molte ore dopo spogliato delle armi e dei gradi. Dopo accaniti combattimenti dall’esito incerto i francesi riescono a passare sul Ponte Nuovo solo quando gli austriaci, minacciati sul fianco destro da Mac Mahon, che ha ripreso l’attacco a Boffalora, si ritirano attestandosi a Magenta. I punti di difesa sono: il cimitero, sulla strada per Ponte Vecchio, la vecchia parrocchiale di san Martino, la linea ferroviaria e Casa Giacobbe, prima costruzione a nord del villaggio. La battaglia divampa attorno alla stazione ferroviaria di Magenta. Lungo la ferrovia gli austroungarici hanno piazzato dei cannoni. Ben presto abbandonano le posizioni e si ritirano nelle case per difendere palmo a palmo il terreno. Il gen. Espinasse viene colpito nei pressi di Casa Giacobbe, ma la sua colonna e quella di Mac Mahon con una manovra a tenaglia, superano la massicciata della ferrovia ed attaccano il nemico trincerato nel borgo. Casa Giacobbe è conquistata dagli zuavi di Espinasse che per vendicare il comandante non fanno prigionieri passando per le armi il centinaio di kaiserjager che la presidiavano. Verso sera i Bersaglieri della divisione del gen. Manfredo Fanti e le batterie dell’Artiglieria Piemontese del gen. Durando arrivano a coprire il fianco sinistro alleato e partecipano ai rastrellamenti nell’abitato. Gyulaj capisce di aver perso la partita e si ritira meditando un contrattacco che non avverrà. Alla sera del 4 giugno, dopo la vittoriosa battaglia, l’Imperatore Napoleone III° nomina Mac Mahon Maresciallo di Francia e Duca di Magenta. Alla sera gli Asburgici abbandonano velocemente Milano con carri e convogli ferroviari. Dalle varie caserme cittadine alla piazzaforte del Castello Sforzesco è un frenetico susseguirsi di ordini per distruggere materiale ed armamenti da non lasciare cadere nelle mani dei Franco-Sardi. L’8 giugno 1859, mentre a Melegnano gli Alleati sconfiggono nuovamente gli Imperiali, Napoleone III°, Imperatore di Francia, e Vittorio Emanuele II°, Re di Sardegna, entrano in Milano sfilando sotto l’Arco della Pace, al Sempione preceduti dal Maresciallo Mac Mahon che guida i vincitori di Magenta. A Magenta, inizialmente, l’Armata Franco-Sarda mise in campo 58.000 soldati contro i 62.000 dell’ Imperial Regio Esercito Austriaco. Le perdite francesi di quella giornata ammontarono a 4.500 unità mentre gli Austriaci ebbero 10.000 uomini fuori combattimento. La battaglia di Magenta, che permise la liberazione di Milano e della Lombardia, segnò così l’inizio del cammino verso l’Unità d’Italia. La Storia poi passò il 24 giugno sulle colline di Solferino e l’11 luglio a Villafranca, nei pressi di Verona, ove Napoleone III e Francesco Giuseppe si incontrarono per sottoscrivere l’armistizio che segnò la fine della seconda guerra d’indipendenza italiana. 

Voci dal passato - L'Ossario di Magenta